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Sottoscrizione degli atti giudiziari trasmessi a distanza Cassazione – Sezione V– sentenza 21 aprile-9 luglio 2004, n. 12791)

Sottoscrizione degli atti giudiziari trasmessi a distanza (Cassazione – Sezione V– sentenza 21 aprile-9 luglio 2004, n. 12791)

Sottoscrizione degli atti giudiziari trasmessi a distanza (Cassazione – Sezione V– sentenza 21 aprile-9 luglio 2004, n. 12791)

Svolgimento del processo

1. La controversia ha per oggetto l’applicazione alla società Ceramiche Girardi spa, dell’imposizione diretta relativa all’anno 1995 in relazione alla rivalutazione dei beni provenienti da una diversa società acquisita a seguito di una fusione per incorporazione avvenuta nel corso di quello stesso anno.

Per la precisione, nel 1997 la Ceramiche Girardi chiedeva l’adozione delle misure di rettifica della dichiarazione dei redditi relativi appunto per l’anno 1995 per il rimborso della maggiore imposta versata per quell’anno a causa di un asserito errore materiale riportato nella propria dichiarazione in quanto non sarebbe stata applicabile la disciplina introdotta con l’articolo 1 della legge 724/94, con l’incremento del costo originario dei beni dei beni provenienti dalla società incorporata.

Faceva presente che a seguito della fusione con altra società aveva provveduto alla rivalutazione dei beni della società incorporata al fine di coprire la differenza tra il costo delle quote dell’incorporata ed il valore del patrimonio.

Successivamente la contribuente ha presentato ricorso alla commissione tributaria di primo grado avverso il silenzio rifiuto che si era formato sulla propria istanza.

2. La commissione provinciale accoglieva ti ricorso e questa decisione veniva confermata dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, che, con sentenza 80/2002, in data 16 luglio 2002, respingeva l’appello dell’ufficio. La sentenza argomentava: che l’istanza di rettifica presentata all’ufficio dalla società contribuente andava interpretata alla luce dell’affermazione ivi contenuta di parziale insussistenza dell’obbligazione tributaria, e che era stata presentata al fine di ottenere il rimborso della maggiore imposta versata; che nel caso di specie questa somma più elevata non era dovuta perché - come ammesso dallo stesso ufficio - al caso di specie non era applicabile il principio di neutralità fiscale delle fusioni introdotto soltanto, con decorrenza successiva alla sua entrata in vigore, dall’articolo 27 della legge 724/94; che l’istanza di rimborso era proponibile, ed in concreto era stata proposta in termine.

3. Con ricorso notificato il 31 ottobre 2002, con un motivo, ricorrevano per cassazione il ministero dell’Economia e delle finanze, e per quanto potesse occorrere, l’Agenzia delle Entrate. Resisteva con controricorso la società Ceramiche Girardi spa, e depositava successivamente una memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di impugnazione l ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 38 del Dpr 602/73, e 9 del Dpr 600/73, 14 della legge 408/94, 2033 e 2946 Cc, nonché l’insufficiente e contraddittoria motivazione.

Sostengono che l’imposta richiesta corrispondeva ai dati riportati nella denunzia e che quest’ultima, a sua volta, era priva di errori materiali.

Non sussisteva il diritto, previsto dal citato articolo 38, di ripetizione di quanto erroneamente pagato dalla contribuente.

La questione proposta con l’istanza di rimborso era invece di diritto ed atteneva alla situazione di fatto e di diritto della società a seguito dell’avvenuta fusione per incorporazione.

Le dichiarazioni fiscali erano assoggettate a vincoli rigidi di forma e di tempo e perciò dovevano ritenersi non ritrattabili al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.

Nel caso di specie la contribuente avrebbe dovuto presentare eventualmente una dichiarazione sostitutiva, ma non certo proporre un’istanza di rimborso.

2. Nel controricorso la società resistente eccepisce preliminarmente l’irricevibilità del ricorso.

Sottolinea che per la sua trasmissione a distanza l’Avvocatura di Stato si era avvalsa del meccanismo della teletrasmissione.

Quest’ultima era prevista dall’articolo 7 della legge 664/86, che richiedeva l’obbligo di sottoscrizione da parte dell’avvocato dello Stato che l’aveva ricevuta.

Né poteva essere applicato l’articolo 10, secondo comma, della legge 383/01, che stabiliva, a sua volta, che l’obbligo di sottoscrizione: dell’atto potesse essere soddisfatto anche con la firma del funzionario titolare dell’ufficio ricevente.

Nel caso di specie però l’ufficio interessato era sempre stato soltanto quello di Trieste, dove aveva sede la contribuente, ed invece l’atto era stato spedito ad un ufficio differente, quello di Udine.

Nel merito la resistente contesta, alla luce in particolare della sentenza delle Su 15063/02, la tesi esposte nel ricorso dell’amministrazione finanziaria, rilevando che la dichiarazione dei redditi non è un atto negoziale, bensì soltanto una dichiarazione dì scienza, e non costituisce la fonte dell’obbligazione tributaria, e che il contribuente poteva richiedere la restituzIone di quanto erroneamente corrisposto per ogni dichiarazione erronea.

Erano emendabili, perciò, non solo gli errori di fatto, ma anche quelli di diritto.

3. Deve essere esaminata preliminarmente l’eccezione di irricevibilità del ricorso proposta dalla società resistente.

L’eccezione è infondata, e va disattesa.

Nel caso di specie l’Avvocatura Generale dello Stato si è avvalsa del sistema di trasmissione a mezzo telex, ma facendo capo per la teletrasmissione dell’atto da notificare non ad una sede dell’Avvocatura distrettuale dello Stato, bensì ad un ufficio periferico dell’amministrazione (nel caso di specie quella finanziaria) direttamente interessata al provvedimento.

L’atto ricevuto deve essere sottoscritto, per attestarne la conformità della copia da notificare a quella teletrasmessa - come espressamente previsto, per il caso di telecomunicazione della copia fotoriprodotta ad un ufficio dell’Avvocatura dello Stato, e di apposizione della medesima sottoscrizione da parte di un Avvocato dello Stato, dal quinto comma dell’articolo 7 della legge 664/86 - da un responsabile della struttura ricevente.

Dato che in questo caso la struttura ricevente non era una sede dell’Avvocatura di Stato, ma un ufficio dell’amministrazione, la sottoscrizione non doveva essere effettuata necessariamente da un Avvocato dello Stato, ma poteva esserlo anche dal titolare dell’ufficio ricevente (o da un suo sostituto) ai sensi dell’articolo 10, secondo comma, della legge 383/01, in base al quale «nel caso di trasmissione a distanza di atti giudiziari mediante mezzi di telecomunicazione, fermo restando il disposto dell’articolo 7, comma 3, della legge 664/86, l’obbligo di sottoscrizione ivi previsto è soddisfatto anche con la firma del funzionario titolare dell’ufficio ricevente ovvero di un suo sostituto, purché dalla copia fotoriprodotta risultino l’indicazione e la sottoscrizione dell’estensore dell’atto originale».

Proprio questa funzione certificativa della conformità all’originale, cui adempie la sottoscrizione da parte del titolare dell’ufficio ricevente (oppure di un suo sostituto) non rileva, e non è richiesto dalla legge, che l’ufficio che ha materialmente ricevuto l’atto, ed il cui titolare ha apposto la propria sottoscrizione, non coincida con quello che era competente alla trattazione della pratica in sede amministrativa.

4. Sulla questione proposta con l’eccezione prelibare di inammissibilità deve essere affermato, perciò, il seguente principio di diritto: «nell’ipotesi in cui l’Avvocatura generale dello Stato si avvalga, per la trasmissione a distanza di un atto al fine della successiva notificazione al destinatario, dei mezzi di telecomunicazioni con trasmissione dell’atto stesso ad un ufficio amministrativo dell’amministrazione ai sensi dell’articolo 10, secondo comma, della legge 383/01, (e non ad un ufficio dell’Avvocatura distrettuale dello Stato ai sensi dell’articolo 7, quarto e quinto comma, della legge 664/86), la copia da notificare, con l’indicazione del nome dell’avvocato dell’Avvocatura generale dello Stato che ha redatto e sottoscritto l’atto, deve essere sottoscritta, al fine di attestare l’autenticità della sua provenienza, dal funzionario titolare dell’ufficio amministrativo (ovvero da un suo sostituto), e non da un Avvocato dello Stato.

Né rileva – perché non richiesto dalla norma – che l’ufficio amministrativo il cui titolare (o un sostituto del quale) ha apposto la propria sottoscrizione, coincida, o no, con l’ufficio competente ai fini della trattazione della pratica amministrativa».

5. Nel merito il ricorso non è fondato, e non può trovare accoglimento. Il ricorso non contesta, per la verità, i presupposti logici ed economico della pretesa di restituzione avanzata dalla società resistente, che cioè effettivamente quest’ultima avesse il diritto di rivalutare i beni della società Incorporata, che questa operazione avrebbe comportato una diminuzione del reddito imponibile, che invece la società era incorsa nell’errore di diritto di non procedere a tale rivalutazione, e che quest’errore aveva comportato la dichiarazione di un più elevato reddito Imponibile e, conseguentemente, un più gravoso esborso fiscale.

La difesa dell’amministrazione ricorrente assume piuttosto che la dichiarazione dei redditi della società non conteneva nessun errore evidente.

Mentre, per la verità, non è affatto contestata la sussistenza nel caso di specie di un errore di diritto (quello appunto di non procedere alla rivalutazione dei beni della società incorporata) la posizione esposta, ed assunta dall’Amministrazione Finanziaria, impedirebbe ai contribuenti di far valere errori di diritto.

6. Questa tesi non può essere condivisa.

Come chiarito, infatti, dalle Su di questa Corte (Cassazione civile, Su 15063/02) «la dichiarazione dei redditi del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, alla luce del Dpr 600/73, nel testo applicabile ratione temporis, è – in linea di principio – emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l’assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico. Ciò in quanto: la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell’acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, e costituisce un momento dell’iter procedimentale volto all’accertamento dell’obbligazione tributaria; l’articolo 9, commi 7 e 8, Dpr 600/73, nel testo vigente in quel tempo, non pone alcun limite temporale all’emendabilità e alla ritrattabilità della dichiarazione dei redditi risultanti da errori commessi dal contribuente; un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, comma 1 Costituzione) e dell’oggettiva correttezza dell’azione amministrativa (articolo 97, comma 1 Costituzione».

In realtà la sola dichiarazione dei redditi non ha carattere confessorio ma rappresenta solo un momento del procedimento di accertamento e riscossione dell’imposta sul reddito; come tale non costituisce la fonte dell’obbligazione tributaria, e non è produttiva di alcun obbligo fiscale che non sussistesse già in precedenza.

Ciò comporta come corollario che ogni errore, non solo di fatto ma anche di diritto, consente in realtà al contribuente di rettificare la propria dichiarazione dei redditi, e di richiedere - entro i limiti ordinari di decadenza e di prescrizione previsti dalla legge in via generale - il rimborso di quanto eventualmente fosse stato versato indebitamente.

7. Il ricorso, dunque, non comporta affatto la negazione dell’esistenza dell’errore di diritto allegato dalla contribuente, ma contesta piuttosto la possibilità di farlo valere proprio perché di diritto; proprio per questo non appare fondato nel merito, e non può trovare accoglimento.

Tenuto conto della complessità della fattispecie, e dell’applicazione di un. principio di diritto esplicitato dalle Su soltanto dopo la proposizione del ricorso, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di questa fase di legittimità.

PQM

Rigetta il ricorso e compensa le spese.